martedì 14 settembre 2010

Pane, aulive, tumazza e vino

Si, così. Come essenziale avrebbe dovuto essere la mia vita così con le cose essenziali dovrà finire la mia vita.
Pane, il cibo per eccellenza; olive, frutto umile della terra che chiede poco all’uomo per dare tanto; formaggio, sintesi del latte, alimento materno indiscusso alito vitale. Vino, infine sul quale e con il quale si sono scritti cantici, si sono combattute guerre, vissuti travagli d’amore e di intelletto.
Ho apparecchiato con una tovaglia rossa a quadri, un bicchiere di vetro vecchio, come quelli che si trovavano nelle vecchie bettole, il pane fatto in casa, cotto a legna (oggi, anche gli odori devono recitare), un coltello affilatissimo un po’ arruginito, il fiasco dall’ impagliatura stanca, vissuta tra bestemmie di assassini prezzolati e occhi lacrimosi di vecchi rassegnati. Un pezzo di formaggio stagionato ma non troppo come non troppo stagionata sarebbe la mia vita e infine le olive. Olive bianche e nere come il bene e il male, salate, profumate, condite, schiacciate. Hanno rilasciato il loro sangue appetitoso in attesa che qualcuno ne approfitti.
Bussano alla porta. Non pensavano di trovarmi in questo casolare povero, circondato da un orto, alberi da frutto, galline starnazzanti e un asino sdentato. Hanno perso tempo e denaro tra casinò, alberghi di lusso, metropoli, cercando tra conti correnti criptati e depositi miliardari. Ora sono stanchi e arrabbiati.
Apro. Sono ben vestiti. Giacche, cravatte e camice intonate. Tutti hanno un buon profumo, costoso come le loro scarpe. Non ridono, non parlano. Pochi gesti, decisi, professionali.
Silenzio.
Ho paura ma loro non lo sapranno mai.
Si sente l’odore della mia paura frammista a quella del pane, delle olive, del formaggio e di mezzo bicchiere di vino appena versato. Loro non possono sentire questi odori. Stasera torneranno a dormire dopo aver fatto l’amore con giovani donne dalle bianche braccia e dalla risata squillante.

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