giovedì 9 settembre 2010

Ancora Frammenti

.........“ Torno di notte ( e che notte!), di fretta, verso casa, sotto una pioggia torrenziale, senza ombrello, intirizzito dal freddo, con il miraggio del mio soggiorno comodo e caldo e, mentre batto i denti, già mi vedo dentro il mio elegante pigiama mentre bevo un po’ di ottimo brandy per poi mettermi sotto il morbido piumino d’oca e godermi quel senso di pace, di benessere e di sicurezza, magari pensando ad un altro uomo, uno qualsiasi che si sta dirigendo, sotto la pioggia e con quel freddo, verso la sua casa e godendo del fatto che io sia già al sicuro e che abbia superato brillantemente una dura prova che voleva infliggermi la vita, quando i miei pensieri vengono distolti da un forte miagolio.
Me ne frego, ma comincia inspiegabilmente ad assalirmi la paura: se non soccorrerò quella bestia troverò la casa sprangata e dovrò restare tutta la notte sotto la pioggia, al freddo, in balia dei trucidatori di gatti, che nonostante si chiamino così, non disdegnano di certo massacrare un bipede come me.
Seguo con difficoltà, a causa del fragore del temporale, il miagolare e, proprio sotto un portico,intravedo una gatta che ha appena partorito sei cuccioli. Il felino mi guarda fissamente e mi chiede di portarla a casa e lasciare morire i piccoli.
Subito la mia paura e i miei timori spariscono: sono certo di aver trovato un mio simile, anche se una vocina mi ricorda che il mio temperamento è mite e bonario, il mio animo è gentile e non potrebbe abbandonare alla loro nefasta sorte quei sei bellissimi mici. Ma questa è finzione, la realtà è che ci sono i trucidatori pronti ad approfittare di qualsiasi mia defaiance. E poi, il comando della gatta è imperioso e io non so e non voglio resistervi.
Mi avvicino e prendo l’ animale con il pollice e l’indice, per la pelle, proprio sotto la nuca ma non lo agguanto bene e, mentre lo sollevo da terra, lui comincia ad infuriarsi, a soffiare, a contorcersi; ma io non lascio la presa: devo portarla a casa, la gattaccia, devo portarla al sicuro e con lei devo portare al sicuro anche me.
E lei comincia a miagolare fortissimo e a dibattersi fino a divincolarsi e ad addentarmi la mano, mentre con gli artigli si tiene ben salda al mio braccio. Il dolore è lancinante e sangue comincia a scorrere copioso dalle ferite e a pulsare nelle tempie. Con un balzo innaturale la gatta è all’ altezza della mia faccia e, sorretta a mezz’aria da chissà quale forza, comincia ad artigliarmi con una violenza e una velocità indescrivibili. Sento la carne che lacerandosi cade a brandelli e il sangue caldo che scorre dal mio viso al collo, sul petto; sento l’ olezzo animalesco e nauseabondo che emana la urlante bocca della bestia; sento il doloroso rumore sinistro dei sui artigli quando stridono contro i miei denti e, mentre questa furia sembra non volersi placare più, mi giro e vedo un vigilante armato di sfollagente che assiste impassibile allo scempio del mio volto. Lo supplico con il solo occhio rimastomi e lui, come svegliatosi, corre incontro a me. Alza il manganello e, urlando alla stessa stregua del felino, lo picchia violentemente sulle mie spalle e sulla testa e sul torace e nello stomaco e mi urla:
“ Questa è la notte della gatta mal presa”.
Penso che forse io stia vivendo un sogno e quindi…..potrei svegliarmi; ma non riesco a farlo; riesco solamente a tornare indietro di qualche minuto e decido di prendere la gatta ma non la agguanto bene e, mentre la sollevo da terra, lei comincia ad infuriarsi, a soffiare, a contorcersi e mi strazia di nuovo. E supplico. C’è un giovanotto, un piccolo teppistello che, ridendo sotto la pioggia, orina e, mentre si allontana incurante del temporale e di me, canticchia:
“ Questa è la notte della gatta mal presa”.
E ritorno indietro e lei comincia ad inferocirsi e mi strazia. E supplico. E c’è me stesso che prende la gatta e mi salva, ma la gatta lo strazia e io, con un solo occhio e la bocca a brandelli riesco solamente ad abbozzare una smorfia che dovrebbe apparire come un sorriso ironico e gli urlo:
“ Questa è la notte della gatta mal presa”.
Mi tampono le ferite alla meno peggio e riprendo il cammino sotto la sferza dell’ acqua, al freddo, al buio, ma verso casa, verso la luce, verso il calore, verso il paradiso. Cerco di concentrarmi al pensiero piacevole del “dopo”, quando i miei pensieri vengono distolti da un forte miagolio. Me ne frego, ma comincia ad assalirmi la paura!” ..........

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